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Il movimento surrealista e il suo capo carismatico André Breton sono chiamati a sottoporsi a un nuovo giudizio. Per l'accusa, lo storico d'arte francese Jean Clair, che prosegue in questo saggio la sua rivisitazione critica dei miti del modernismo.
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Dopo aver affrontato le ambiguità ideologiche dell'arte contemporanea e le tangenze tra espressionismo e nazismo, Clair esplora qui una parte rimossa del movimento di avanguardia forse più fertile, nonché più inafferrabile, del Novecento. Alla sua lente, Breton diviene la figura nella quale emergono le principali contraddizioni della visione surrealista: la perdita di contatto con la realtà, l'ambigua esaltazione del meraviglioso e dell'ignoto, la fumosità delle aspirazioni politiche, il carattere estetizzante di cui vengono esposte le radici nell'irrazionalismo ottocentesco, nello spiritismo, nel culto della violenza tipico dei totalitarismi. Il rovesciamento di prospettiva è radicale, ma fornisce l'apporto costante di un occhio finissimo e di un pensiero problematico che non perde mai di vista l'eccezionale qualità delle creazioni artistiche del movimento surrealista. La difesa è invece assunta dal filosofo e letterato Régis Debray, autore di un pamphlet in cui si ribadisce l'autenticità dell'aspirazione rivoluzionaria surrealista, il fondamentale anelito libertario che mirava a riunire prospettiva artistica e politica, liberazione dell'inconscio e della società, muovendo da un'idea nuova dell'umano.